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lunedì 18 maggio 2020

L'Ue tra modello economico neoclassico e shock reale da Coronavirus


Da un rapporto dell’Area Studi Mediobanca si stima che per il 2020 l’Italia perderà 9,5 punti percentuali di PIL, corrispondenti a circa 170 miliardi. Una cifra da capogiro se si considera che saranno in prevalenza miliardi sottratti alla cosiddetta economia reale del paese, motivo per cui questa crisi rischia seriamente di lasciare milioni di persone per strada. Per questo l’emergenza del Coronavirus è già stata definita, per il nostro Paese e non solo, la peggiore crisi economica dal dopoguerra. È chiaro che una così vistosa perdita di ricchezza non può essere semplicemente dovuta al Coronavirus: esistevano già nella nostra economia punti di debolezza e problemi di lunga data che si sommano ai danni economici causati dal Coronavirus e che andrebbero esaminati a parte.

In questo intervento si cercherà di analizzare, con l’ausilio di un modello, l’architettura ed il funzionamento dell’Euro insieme alle varie opzioni che la Banca Centrale Europea ha a disposizione per fronteggiare le difficoltà economiche dell’emergenza Coronavirus che molti Paesi dell’Unione stanno vivendo.

Prima di tutto è importante fare alcune premesse: dal momento che l’economia non è una scienza esatta o dura, non è possibile fare esperimenti in laboratorio che possano dimostrare l’esattezza di questo o quel principio economico; anche per questo motivo l’economia è forse la scienza più strumentalizzata della storia, popolata da innumerevoli fazioni in lotta tra di loro per diverse visioni del mondo, ciascuna con teorie e modelli mai del tutto veri proprio perché non dimostrabili in modo empirico; l’essenza stessa dell’economia, così come concepita nelle università di tutto il mondo, è “il modello economico”, un’estrema semplificazione della realtà per spiegare questo o quel fenomeno, dove le variabili considerate sono poche e non è neanche detto che siano le più importanti.

Un’ultima premessa, tanto rara sui manuali di economia quanto indispensabile per tutti quelli che si approcciano a questa scienza, è che se si agisce nel contesto delle regole di un’economia capitalistica, non sarà mai possibile trovare una soluzione definitiva agli squilibri da cui scaturiscono le crisi economiche, indipendentemente dalla loro natura. Questo perché, a detta di quasi tutti gli economisti, pur con motivazioni diverse e contrastanti, il capitalismo è una macchina che funziona malissimo e anche se per alcuni basta che funzioni non essendoci alternativa, si possono fare continui interventi correttivi con costi esorbitanti, ma prima o poi è auspicabile che la macchina venga cambiata e non solo per i costi sociali che comporta ma, come si è visto relativamente più di recente, anche per l’insostenibilità ambientale di questo modello economico e sociale.Ora, considerato che la macchina del capitalismo funziona a pieno regime e pare che non si possa fermare, non resta che domandarci quali interventi vadano fatti per evitare che l’attuale pandemia porti alla fame milioni di persone in Europa e dia nuovo slancio a pericolose forze reazionarie che in effetti già sembrano parecchio slanciate.

In primo luogo dobbiamo considerare che basandoci sulle osservazioni fatte negli ultimi 130 anni di storia, la maggior parte degli economisti concorda nel dire che esistono due grandi insiemi differenti di shock economici: gli shock di origine monetaria, come ad esempio una manovra speculativa1 che comporta un aumento esogeno della domanda di moneta corrente in un dato paese, e gli shock che prendono piede dall’economia reale, come ad esempio un violento terremoto che comporta una perdita di produttività in un paese nei confronti dei concorrenti esteri.

Questa distinzione degli shock in due grandi macro-categorie è determinante ai fini pratici, per individuare le politiche più efficaci a seconda dello shock che si deve affrontare. Indubbiamente lo shock economico del Coronavirus riguarda in prevalenza il mercato dei beni e quindi parte dall’economia reale. Per comprendere qual è stato fino ad oggi l’indirizzo europeo delle politiche economiche ci baseremo in parte sul modello neoclassico elaborato dagli economisti Robert Mundell e Marcus Fleming, considerato sufficientemente valido da meritare un premio Nobel nel 2000.

Fondamentale per la comprensione del modello è sapere che il tasso di cambio è il numero di unità della moneta estera che occorre per acquistare un’unità di moneta nazionale. In un regime fisso, il tasso di cambio tra la moneta nazionale e le valute straniere è deciso dalla Banca Centrale, la quale si impegna ad acquistare oppure a vendere la valuta straniera a un prezzo prefissato, al fine di mantenere stabile il tasso di cambio tra le due valute. In un regime flessibile, i tassi di cambio possono variare liberamente perché la Banca Centrale non interviene.

Quando lo shock dell’economia è reale, come nel caso del Coronavirus, avviene una perdita di competitività delle imprese, un peggioramento del conto corrente, un possibile disavanzo della bilancia dei pagamenti e il deprezzamento del tasso di cambio. Se il tasso di cambio è fisso la Banca Centrale acquista la valuta nazionale per non deprezzare il cambio, si riduce la base monetaria e l’offerta di moneta, aumenta il tasso di interesse e si riducono sia gli investimenti che il reddito. In buona sostanza, secondo il modello appena descritto, quando il tasso di cambio è fisso a pagare le spese dello shock reale sono le aziende e i loro lavoratori. Alcune aziende chiudono, si abbassano i salari dei lavoratori e di conseguenza si riducono anche i prezzi di molti beni: avviene una deflazione.

Altra cosa è quando i tassi di cambio sono flessibili. Allo shock dell’economia reale con cambi flessibili corrisponde un deprezzamento della valuta, un miglioramento della competitività delle imprese nazionali, un aumento delle esportazioni e una riduzione delle importazioni. In questo caso lo shock viene ammortizzato dalla moneta e non da imprese e lavoratori.

Come funziona oggi in Europa? Fino agli inizi degli anni ‘70 con il boom economico in Europa come nel resto del mondo si preferivano i cambi fissi, più efficaci contro gli shock monetari; a partire dalla crisi energetica del ‘73 che riguardava parimenti l’economia reale, si passò ai cambi flessibili, ma i Paesi europei si accordarono fra di loro per mantenere i cambi fissi prima con una moneta scritturale introdotta dal Consiglio Europeo denominata European Currency Unit (unità di conto europea) e poi con l’arrivo dell’Euro. Di fatto con l’Euro i Paesi europei hanno perso la facoltà di decidere autonomamente le politiche monetarie e nella sostanza è come se ci fosse un tasso di cambio fisso fra tutti i paesi dell’Unione Europea.

A questo punto se lo shock economico del Coronavirus fosse perfettamente simmetrico, ovverosia colpisse l’economia dei Paesi dell’Unione allo stesso modo e con la stessa intensità, ci sarebbe un deprezzamento dell’Euro e si verificherebbero gli effetti descritti sopra: la moneta ammortizza lo shock. Sfortunatamente la quasi totalità degli shock economici finora registrati è di tipo asimmetrico. Siccome molto probabilmente anche questo sarà uno shock asimmetrico, seguendo il modello neoclassico sopra descritto, gli effetti per i paesi più colpiti sarebbero nefasti per lavoratori e imprese.

Per comprendere meglio il massacro sociale a cui si rischia di andare incontro bisogna far ricorso alla teoria delle aree valutarie ottimali nata negli Stati Uniti negli anni ‘60 e appartenente al già citato Mundell, economista neoclassico della scuola di Chicago e oggi considerato uno dei più influenti teorici dell'architettura dell'Euro. La premessa fondamentale per il funzionamento di questa teoria è che l’Italia, come il resto d’Europa, abbia, oltre ad una piena mobilità di capitale e lavoro, al contempo anche la massima flessibilità dei salari e dei prezzi. A queste condizioni l’economia italiana potrebbe assorbire lo shock entrando in una devastante recessione che implicherebbe l’abbassamento dei salari, dei prezzi, la chiusura di moltissime imprese e l’emigrazione dei lavoratori italiani verso paesi più fortunati. Una volta che l’Italia fosse ai livelli di un paese come ad esempio la Romania, sarebbe più competitiva sul mercato internazionale e potrebbe ritornare a crescere attirando anche capitali esteri2. Tutto questo scenario prende il nome di “aggiustamento dei fattori produttivi” e, se non dovesse piacere, l’unica alternativa consentita dal modello neoclassico era un finanziamento estero, un bel prestito ricevuto dall’Europa con interessi e condizioni, come ad esempio quello proveniente dal Meccanismo Europeo di Stabilità (MES) o Fondo Salva-Stati.

Ammesso e non concesso che l’Europa attualmente abbia tutte le caratteristiche di un’area valutaria ottimale3, questa teoria neoclassica ha però più di un punto debole di cui riporto uno fra tutti: ipotizzando di essere disposti ad accettare il massacro sociale per poi diventare più competitivi, non vi è alcuna ragione che una diminuzione dei salari possa condurre ad un aumento della produzione e dell’occupazione. Questo perché una volta diminuiti i prezzi, dovrebbero aumentare le esportazioni che a loro volta farebbero aumentare i prezzi, ma non vi è alcun motivo che le esportazioni aumentino con l’aumentare dei prezzi. Un’ulteriore critica più articolata a questo modello neoclassico riguarda l’effetto Keynes (la cui paternità non è da attribuire a Keynes), ossia gli effetti positivi sulla domanda interna di una riduzione dei salari monetari. Questa teoria è stata messa in discussione dai recenti sviluppi della teoria economica e lo stesso Keynes aveva negato la possibilità di simili effetti4.

Alla luce di tutto questo, al tempo del Coronavirus dovrebbe essere chiaro a tutti che non si può affidare le sorti di milioni di persone a modelli economici neoclassici che oltre a presentare delle falle, chiedono dei sacrifici incalcolabili per un periodo di tempo indefinito in cui può succedere di tutto.

È stringente il dovere che l’Europa ha in questo momento di cercare altre soluzioni, alla stregua degli Stati Uniti che nella pratica, almeno nei momenti cruciali della storia, non sembrano essere mai fedeli ai propri modelli economici neoclassici. Così è successo anche con il Coronavirus, quando, dopo alcune resistenze, di recente è stato approvato un sostegno all’economia degli Stati federati con una manovra proveniente direttamente dalla Federal Reserve (Fed) di 2000 miliardi di dollari in prevalenza senza né interessi né condizioni. A marzo gli Usa hanno approvato un piano record di soccorsi economici in risposta alla pandemia, senza precedenti nella loro storia, prevedendo aiuti alle famiglie e alle aziende, sotto forma di assegni di sostegno al reddito, di rafforzati sussidi di disoccupazione, di prestiti e salvataggi per imprese grandi e piccole e settori in affanno, di fondi per ospedali e sistema sanitario. Lo stesso segretario al Tesoro Steve Mnuchin si è detto pronto a fare di tutto per salvare l'economia americana, anche intraprendere delle nazionalizzazioni di salvataggio.

Seguendo la stessa strada degli Usa, l’Europa può bypassare tutti i limiti dell’architettura dell’Euro in uno shock reale a regime di cambio fisso tramite un allentamento quantitativo (Quantitative Easing) ad esempio per finanziare i sussidi di disoccupazione e, quindi, mantenere elevata la domanda aggregata, nonché riconvertire in nuove produzioni i lavoratori estromessi, favorire l’attrazione di capitali industriali, la nascita di nuove imprese, ecc.

Anche se non si volesse intraprendere nessuna delle politiche sopra accennate, un allentamento quantitativo implica di per sé un effetto importante: l'immissione di nuova moneta sul mercato tramite l'acquisto di titoli, il conseguente aumento del prezzo dei titoli e la riduzione del loro rendimento. Nei Paesi in cui il rendimento dei titoli pubblici sia agganciato a quello dei tassi d'interesse bancari, questo produce un abbattimento degli interessi bancari che in ultima istanza permette la riduzione nel medio periodo dei mutui, dei debiti delle famiglie verso le banche e di altri tipi di scoperto finanziario. Se pensiamo a quanto le famiglie gravate da un mutuo sulle spalle e da un lavoro “sospeso” siano state messe in difficoltà dall’emergenza pandemica, questo rappresenta sicuramente un aiuto da dover prendere in considerazione.

L’immissione di moneta comporta sicuramente anche l’aumento dell’inflazione. Si stima che l’inflazione ottimale debba aggirarsi intorno al 2%, ma in Europa negli ultimi anni l’inflazione è sempre stata più bassa perché non a tutti conviene: nello specifico, maggiore è l’inflazione maggiore è la c.d. imposta di inflazione. Potrebbe non essere evidente la ragione per cui l’inflazione venga considerata un’imposta, ma è tale perché fa perdere valore alla moneta già posseduta dai cittadini: chi possiede più liquidità subisce maggiori perdite. Questo spiega perché l’inflazione ottimale venga osteggiata soprattutto da chi possiede più denaro (comprese le banche).

È tanto assurdo chiedere che, considerata l’emergenza Coronavirus, nell’Unione di Stati del vecchio continente la Banca Centrale Europea si comporti come la Fed, la banca centrale americana? Fino a qualche anno fa sembrava impossibile! Non si voleva scardinare il modello neoclassico in base al quale la Bce non poteva nemmeno comprare direttamente i titoli di stato5. Tuttavia, nel nuovo contesto emergenziale le pressioni di più Paesi in difficoltà quali Italia, Francia e Spagna stanno scardinando uno dopo l’altro i meccanismi legati a quel modello. Che ci sia stata un’inversione di rotta lo dimostra il fatto che sia la Fed sia la Bce hanno dichiarato apertamente di voler utilizzare illimitatamente gli strumenti a loro disposizione addirittura acquistando anche titoli tossici o spazzatura. Un esempio concreto è dato dall’acquisto da parte della Bce, nel solo mese di marzo, di titoli di Stato italiani per un valore di circa 30-40 miliardi e di certo l’Italia non è vista sicuramente di buon occhio dalle agenzie di rating. Inoltre nuove regole sono state introdotte nel Mes: dal 9 aprile u.s. le spese sanitarie dirette e indirette legate alla pandemia sono state escluse dai vincoli del piano. L’accordo prevede la possibilità per i paesi dell’Eurozona di ottenere liquidità per un massimo del 2% del Pil fino alla fine dell’emergenza.

Il più recente tentativo in dirittura di arrivo6, volto a scardinare il modello neoclassico, è dato dal Recovery fund, che consiste nella creazione di un fondo garantito dal Bilancio dell’Unione Europea da utilizzare per l’emissione di obbligazioni con l’assunzione comune del rischio. La Germania e l’Olanda che si opponevano agli Eurobond hanno accettato questi nuovi titoli perché riguarderanno solo i debiti futuri, escludendo la mutualizzazione di quelli passati. In programma c’è anche il Sure, una vera e propria cassa integrazione europea per 100 miliardi di euro, per accedere alla quale gli stati membri devono fornire garanzie per 25 miliardi di euro.

Certo, bisogna ancora aspettare per conoscere tempi e modalità di erogazione di questi supporti. Quanto più saranno tempestivi e coraggiosi più saranno efficaci contro la crisi.

Sicuramente il Coronavirus ha messo alle corde il vecchio sistema neoliberista evidenziando la sua capacità di aggravare le crisi più che risolverle.

Se si fosse continuato ottusamente a seguire l’imprinting neoclassico dell’originaria architettura dell’Euro, con la perdita di competitività dei Paesi più colpiti dall’emergenza pandemica, si sarebbe verificato uno spostamento di ricchezza più marcato (la concentrazione della ricchezza nel contesto capitalistico è comunque inevitabile) dai Paesi in difficoltà come l’Italia ad altri Paesi più efficienti - ed è questo che spaventa di più anche i paesi “forti” del vecchio continente - non solo in Europa ma nel resto del mondo. Tutto questo assolutamente senza la garanzia di un successivo recupero per i Paesi più colpiti.

Quella che sarebbe stata certa è solo la prima fase di recessione economica, con tutte le sofferenze che sarebbero scaturite a livello individuale e sociale da un modello predatorio che non ha più ragione di esistere in un’Unione equa e coesa.

Angelo Minelli

1 Il primo a parlare della detenzione di moneta per fini speculativi fu Keynes. Prima di lui si riteneva che la moneta potesse essere detenuta solo per motivi precauzionali.
2 Si veda MCKINNON R., 1963, Optimum currency areas, «American Economic Review», 53, pp. 717-25.
3 La maggior parte degli economisti concentra l’attenzione sul tentativo di dimostrare che l’Europa non sia un’Area Valutaria Ottimale (AVO), ma la nostra critica è rivolta alle fondamenta stesse di questa teoria economica.
4 Per un rapido approfondimento sulla critica dei keynesiani al modello AVO è possibile consultare l’articolo online su keynesblog.com dal titolo “La Teoria delle Aree Valutarie Ottimali non spiega la crisi dell’euro”.
5 Fino al 2015 la Bce comprava titoli di stato solo sul mercato secondario e solo dopo la richiesta di un prestito al MES da parte del Paese che ne avrebbe usufruito.
6 Il Recovery fund è stato approvato dal Parlamento europeo il 15 maggio u.s.

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