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venerdì 8 maggio 2020

Come lo sciopero involontario dei braccianti cambia le carte in tavola

Braccianti - Opera di Mino Lo Savio
Avete saputo della carenza di braccianti nei campi? Secondo Coldiretti, su tutto il territorio nazionale, almeno il 40% di frutta e verdura rischia di marcire nei campi. Complessivamente a causa del Coronavirus nel settore sono venuti meno più di 300mila braccianti. A mancare sono soprattutto lavoratori stagionali provenienti da paesi UE dove la manodopera costa di meno e che ora sono rimasti bloccati nei loro paesi di origine. Ad essere rimasto è chi non poteva andare via, chi vive in sistemazioni di fortuna, in baracche o veri e propri ghetti, senza elettricità o servizi igienici, invisibili schiavi moderni. Nel nostro Paese l'Ispettorato Nazionale del Lavoro stima che il 50% dei braccianti addetti alla raccolta di frutta e verdura sia in nero.
A questo proposito vorrei provare a spiegare alcuni passaggi economici.
Come tutti sanno, in economia più si risparmia nella produzione più si guadagna nella vendita. Nella totale assenza di diritti, il massimo risparmio è dato dal pagare il minimo necessario per il sostentamento del lavoratore. In realtà questo concetto è stato superato perché oggi il lavoratore in nero, che lavora nei campi, non viene pagato il minimo necessario per il sostentamento. Finora è stato pagato una cifra appena al di sotto del minimo, corrispondente a circa 2,50 € l'ora perché il caporale poteva disporre di un certo ricambio dei lavoratori, sostituiti con celerità non appena non più in grado di lavorare.
Cosa succede in una situazione anomala come in questi giorni in cui mancano i lavoratori? Avviene una crisi e si innesca un involontario braccio di ferro tra lavoratori, che si comportano come se stessero scioperando (c.d. sciopero involontario), e i caporali. Lo Stato interviene con l'obiettivo di mantenere la situazione precedente alla crisi e di conseguenza assume una posizione reazionaria. Lo abbiamo visto nelle proposte fatte dai politici, tra cui quella di mandare nei campi chi percepisce il reddito di cittadinanza, gli studenti, i detenuti etc.
In questo caso si vorrebbero usare i soldi dello Stato per mantenere il profitto degli schiavisti con una fondamentale differenza: lo Stato non può accettare il lavoro in nero e quindi dovrebbe chiedere alle aziende di pagare il minimo sindacale per integrare il reddito di cittadinanza che verrebbe ridotto a vantaggio dello Stato. Tutto questo all'azienda che assumeva in nero non conviene e quindi c'è la ricerca di altre soluzioni come i voucher. Quello che in apparenza nasce come un rimedio provvisorio per non mandare in crisi il settore rischia di diventare a tutti gli effetti permanente. Difficilmente, innescato questo meccanismo, poi si potrà chiedere ad un'azienda e a chi la gestisce di rinunciare ad una nuova tipologia legalizzata di sfruttamento senza generare un'ulteriore crisi, magari più lunga e strisciante di quella generata dal Covid-19.
Il problema non va quindi visto dalla prospettiva dei datori di lavoro ma da quella dei lavoratori.
Se lo Stato, che non ha obiettivi di profitto, si sostituisse al datore di lavoro ad esempio nazionalizzando l'azienda, potrebbe al contempo mantenere i prezzi per i consumatori e tutelare i braccianti liberandoli dal precariato e dallo sfruttamento in nero. Ovviamente si tratterebbe di una politica rivoluzionaria del tutto contro corrente rispetto a quella che siamo abituati a vedere oggi.
Di certo, a causa del Coronavirus l'involontario braccio di ferro tra braccianti e caporali, come poche volte nella storia, sembra favorevole ai primi. In questo contesto anche una classe politica incapace di affrontare problemi strutturali annosi, per la semplice inerzia dei lavoratori assenti, è costretta a trovare soluzioni innovative che potrebbero regolamentare un settore che fino ad ora è riuscito a sottrarsi alla legalità e alla giustizia. In realtà il problema della produzione agricola di oggi è molto radicato nel tempo perché mentre in altri paesi come la Francia il lavoro nei campi è molto più meccanizzato, consentendo l'impiego di meno manodopera meglio pagata, l'Italia per "incapacità di fare sistema produttivo" (come osserva Eduardo Barberis, ricercatore dell'università di Urbino) è rimasta al palo nel processo di industrializzazione agricola e per competere con altri paesi ricorre ad un metodo antico quanto l'uomo: lo schiavismo. L'innovazione dovrebbe andare in una duplice direzione: da una parte incentivare la meccanizzazione agricola favorendo una moderna attività di impresa, dall'altra arrivare all'"emersione" di tutti gli immigrati irregolari, riconoscendone finalmente i diritti.

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