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domenica 25 aprile 2021

La Resistenza: quando "i buoni" si sono ritrovati a versare sangue. Buon 25 Aprile!

«I partigiani? Una forma di banditismo. I comitati di Liberazione? Un trucco dell’esarchia”. "Fanatici che volevano fare come in Russia". Guerriglieri violenti, come gli altri, “i rossi come i neri”. Oppure bande di cialtroni, inutili perché se non c’erano gli americani a quest’ora… Anzi no: dissennati provocatori che si facevano scudo dei civili e che ai civili facevano pagare il prezzo di sangue delle loro azioni. Peggio, sterminatori assetati di vendetta: la Resistenza come un romanzo criminale. Venti mesi tramandati da un racconto mitico, cucito su misura, se non proprio contraffatto, perché “la storia la scrivono i vincitori”».

Questi sono solo alcuni dei luoghi comuni sui partigiani, raccolti nel suo saggio dalla storica Chiara Colombini, che circolano da 80 anni in Italia. Si tratta di voci fatte circolare da gentaglia di estrema destra che lasciano il tempo che trovano.

Il problema vero, in realtà, oggi non è l'estrema destra ma i benpensanti e moderati di centro, senza memoria, che non comprendono più cosa sia stata la Resistenza come fenomeno umano prima ancora che storico-politico. Benpensante è chi cambia discorso infastidito quando sente parlare di antifascismo sia oggi 25 Aprile che in qualsiasi altro giorno dell'anno. «E se qualcuno ricorda che i fascisti non erano agnelli - afferma la Colombini - il benpensante fa una smorfia di tedio, come a sentir vecchi motivi di propaganda a cui nessuno più crede».
Sulla bilancia della storia che oggi in Italia pende a favore dei reazionari è questo l'atteggiamento che pesa più di ogni altra cosa.

Per comprendere cos'è stata la Resistenza e perché è nata bisogna conoscere il fascismo. Bisogna sapersi orientare con una bussola culturale per distinguere quali strade conducono al fascismo e quali no. Negli anni sempre più italiani hanno perso questa importante bussola costruita con il sangue dei partigiani e delle vittime del nazifascismo: per questo ad Ancona un funzionario del ministero dell’Istruzione ha definito “sogni” i progetti del regime fascista; per questo sempre più spesso si usa la violenza come denominatore comune per accomunare partigiani e repubblichini, banalizzando le motivazioni della guerra, come se si trattasse della violenza negli stadi di calcio, e annullando completamente la differenza delle motivazioni.

Alla luce di quanto detto è sempre utile partire dalle basi: la Resistenza è stata un conflitto ideologico. Ideologia non significa discutere circa la forma delle nuvole. Niente nella storia dell'uomo è riuscito ad essere più concreto delle ideologie nella creazione delle società passate e presenti. Le ricadute materiali di quello che pensiamo e facciamo come società sono enormi. Non può esistere una società che non abbia un pensiero articolato su problemi o presunti tali e sulle relative soluzioni o presunte tali.

  • Il pensiero articolato di una società si chiama ideologia. Il nazifascismo è un’ideologia che in pochi anni ha plasmato la società italiana e tedesca, portando questi due popoli in una guerra di sopraffazione, dominio e sterminio contro il resto del mondo.
  • La Resistenza non è una vera e propria ideologia ma è stata il contenitore in cui altre ideologie si sono riversate nel fare fronte comune contro il nazifascismo. Possiamo quindi dire che i partigiani sono stati il seme di una nuova società o gli anticorpi che l'umanità ha creato per difendersi dal nazifascismo, che nella sua corsa all'ottenimento di un potere sempre più grande ed esteso stava distruggendo il mondo.

Per questo motivo non sono stati i partigiani a ‘creare’ la violenza. La violenza è stata accettata dai partigiani perché non solo già esisteva, ma era l'unico mezzo possibile per combattere il fascismo. La violenza diffusa è la condizione in cui i partigiani e tutti gli italiani si trovano a vivere a causa delle pretese del fascismo. Come scrive la Colombini: «la violenza è precisamente il cuore della situazione a cui i partigiani si ribellano». Per farla breve, «più pacifista de me non ne trovi ‘n artro”», dice spesso Mario Fiorentini, un partigiano romano noto per aver sbaragliato diversi battaglioni.

E le uccisioni degli innocenti ad opera dei partigiani? Partigiani come fascisti? 

Assolutamente no! Una cosa è la violenza perpetuata da un regime organizzato e ben strutturato che si basa sulla sopraffazione, le deportazioni e lo sterminio, altra cosa sono i manipoli di partigiani che durante la Resistenza e nell'immediato dopoguerra si sono macchiati di crimini perché carichi di rabbia ed odio per tutto quello che hanno passato durante la guerra. A tal proposito ricordo che la principale difesa dei fascisti per giustificare le loro azioni è stata "abbiamo solo eseguito gli ordini". Questa che sembra la principale giustificazione dei fascisti è in realtà la principale differenza tra partigiani e repubblichini. Ai partigiani non è mai stato ordinato da nessun "superiore dei partigiani" di uccidere innocenti. Mettere sullo stesso piano partigiani e repubblichini è quindi impossibile, perché i primi combattevano contro una società che non si faceva remore a schiacciare la vita delle persone e i secondi difendevano quella società costruita dall'ideologia nazifascista che li legittimava pienamente a compiere atrocità. Per usare le parole di Mussolini ai soldati della Seconda Armata in Dalmazia: «So che a casa vostra siete dei buoni padri di famiglia, ma qui voi non sarete mai abbastanza ladri, assassini e stupratori».

Grazie per la lettura e buon 25 Aprile dal blog ebbro! Viva la Liberazione!

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