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lunedì 13 settembre 2010

Suggestioni

(da “Lo scafandro e la farfalla” di Jean-Dominique Bauby)

Bene o male che sia, nelle considerevoli pagine del dizionario esistono in verità assai pochi vocaboli destinati alla classificazione delle emozioni umane. Siamo così persi nell'isolato silenzio della nostra anima, incapaci di comunicare, che pochi sono fortunati se nell'arco di tutta loro esistenza si accorgono, acquistano consapevolezza, se pur per qualche attimo, del grande miracolo della vita e di quanto sia immensa e sconfinata la realtà così come la vediamo, riflessa nello stagno della nostra mente.
Provate ad immaginare cosa significhi per un essere umano restare completamente immobile per giorni e poi mesi con la mente perfettamente lucida, ma senza la possibilità di poter comunicare se non sbattendo la palpebra di un occhio. Dopo ore di prigionia all'interno del proprio corpo scatta un disperato movimento riflesso di stiramento che attenua il dolore delle proprie membra, facendo muovere braccia e gambe di qualche millimetro; tutta la voglia di correre, il desiderio di libertà, di sentire il cuore in gola e l'aria fresca fluire lungo il viso e nei polmoni ansimanti concentrata in quel piccolo scatto impercettibile ad un terzo, ma immenso e sconfinato per chi lo ha generato.
Lo scafandro si fa meno opprimente e la mente è libera di vagabondare come una farfalla nello spazio e nel tempo, sullo sconfinato altopiano del Deccan, poi sui Ghati orientali e da lì seguire le acque sacre del Godavari fino alla baia del Bengala e con esse immergersi nell'oceano Indiano per apprendere la saggezza delle balene ultracentenarie e cavalcare i dugonghi fino alle coste della penisola arabica.
Un colpo di tosse improvviso ci riporta nella stanza, furenti prigionieri della carne inerme. Ad un tratto ci si rende conto che le porte della percezione sono spalancate e in un nuovo stadio di coscienza possiamo sentire e conoscere chi ci sta intorno in un modo misconosciuto. Sopraggiunge la notte e siamo soli, il catarro della polmonite ci impedisce di respirare e nel tempo di una preghiera capiamo che non c'è altro da fare se non riprendere il nostro cammino per non tornare più indietro. A continuare il viaggio non è più la mente, soggetta ai limiti della nostra natura, ma l'anima che non conosce né ostacoli né limiti e così ogni cosa appare come è realmente, infinita, proprio come William Blake e altri poeti hanno potuto solo immaginare...
Dedicato a Mauro Morisco

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